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04
Set
07

Ukiyo-e

“UKIYO-E”

Da Honshu all’Europa l’estetica superiore del Sol Levante
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L’invasione culturale è ormai compiuta; il gusto e gli usi del Giappone hanno conquistato definitivamente i cuori dell’Occidente dilagando in Italia come un’onda raffinata ed irresistibilmente attraente. Pubblicazioni sulla storia, l’arte e i costumi del popolo del Sol Levante, film e ristoranti nipponici, negozi di abiti ed oggetti d’importazione, documentari, corsi di meditazione Zen e giardinaggio-ikebana, istituti giapponesi di cultura ed importanti esposizioni scandiscono ormai il tempo di molti italiani e sono quotidianamente presenti nella realtà urbana di ogni cittadino europeo,  rappresentando la vastissima diffusione e la sempre crescente accoglienza dell’estetica superiore dell’antico Impero del Sole Nascente. Dopo lo sfruttamento economico occidentale, dopo l’infinito fragore delle bombe atomiche e la vertiginosa espansione edilizia delle megalopoli di Tokyo e Osaka come alienanti Manhattan asiatiche, il Giappone prende ora la sua rivincita contro il ladro che gli ha rubato l’anima; nonostante contaminato e fortemente alterato, passato ormai al fianco degli dei del grande consumismo, il Giappone si riscatta e resiste ancora con tutta l’imponenza della sua antica cultura, unico ed ultimo vanto di un glorioso impero ormai decaduto.

La penetrazione del gusto nipponico in terra occidentale risale, in realtà, alla metà del XIX secolo quando manufatti giapponesi godettero di un vasto apprezzamento negli ambiti culturali inglese e francese. Il gruppo preraffaellita di Rossetti e Burne-Jones; il pittore Manet; il movimento impressionista; artisti isolati come Van Gogh, Toulouse-Lautrec e Gauguin; gli espressionisti del “Der Blaue Reiter” furono tra i più grandi estimatori e collezionisti di arte nipponica. Gli imponenti sistemi commerciali dei vastissimi imperi coloniali francese e britannico, quasi confinanti con la terra del Giappone, permettevano la continua affluenza in Europa di manufatti orientali di ogni sorta: ceramiche, porcellane, paraventi, abiti e soprattutto stampe. Presto non solo i pittori imitarono e rielaborarono soggetti tratti da opere giapponesi, ma nacquero mode d’abbigliamento, di arredo e addirittura locali notturni completamente ispirati all’imperante gusto nipponico, fenomeno culturale che assunse la denominazione di “Japonisme”, vera e propria epoca del Giappone all’europea.         

            I manufatti artistici che giungevano in Europa durante la seconda metà dell’Ottocento e del primo Novecento, rispecchiavano la fine di una lunga ed importante parabola storica dell’Impero del Sol Levante, quella del periodo Tokugawa. Dal 1600 il potere politico diretto era stato sottratto agli imperatori ereditari da parte dei capi del fortissimo esercito: gli Shogun. Con Ieyasu si inaugura il primo shogunato e inizia il lungo  tempo del coraggio e dell’onore: il tempo dei  samurai.

Nel 1867 Mutsushito Meniji riesce a rimpossessarsi del trono imperiale dando fine agli shogunati e quindi al fastoso periodo Tokugawa.

L’amore per l’ostentazione e la grandiosità, la costruzione di lussuosi palazzi dotati di complesse architetture, il grande sviluppo dell’arte del giardinaggio e la sistematica produzione di preziosi oggetti d’arredamento come paraventi dai colori sgargianti o pannelli decorati con foglie d’oro rappresentano il periodo più opulento della storia del Giappone, il grande “Barocco” Tokugawa.
Tra i magici boschi che coprono i Monti di Nikko si scorgono ancora le sagome degli splendidi templi-mausolei degli shogun che raccontano, oltre al fasto raffinatissimo di un’epoca, anche le idee e l’atteggiamento di un’intera classe dominante. 
Le dottrine neo-confuciane di Chu Hsi portarono nel Paese un forte senso della moralità dell’autorità politica e di conseguenza fecero scaturire una fedeltà cieca ed assoluta verso il Signore. Si fonde con ciò la rigida etica tradizionale della classe dei guerrieri, i samurai, che si identificavano in un codice morale chiamato Bushido, ovvero “la via del guerriero.”
Questa dottrina, severa e poco stimolante per la crescita delle arti, trovò nel pensiero del filosofo cinese Wang Yang-ming, morto nel 1529 e noto in Giappone come Oyomei, una corrente opposta che poneva l’accento su un atteggiamento più pragmatico ed anti-feudale, più attento ai problemi economici e alle potenzialità dell’intelletto e dell’azione umana. Il pieno senso morale dell’individuo si raggiungeva dunque in una perfetta fusione tra centralità del pensiero e indispensabilità dell’azione. Questo movimento sovversivo rovesciò i Tokugawa e dal 1720 già sono presenti molti fermenti sociali e un’influenza occidentale sempre più crescente dovuta alla revoca dell’editto che proibiva la circolazione di libri occidentali, mantenuto solo per i libri religiosi di contenuto cristiano, e alla presenza di molti mercanti olandesi nei più importanti porti del Paese.
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Mentre le principali scuole di pittura erano ancora sostenute dalla classe dirigente, nelle città stava sorgendo una nuova arte popolare chiamata Ukiyo-e o immagini del Mondo Fluttuante, un termine buddista che stava ad indicare la precarietà della vita umana e gli aspetti del quotidiano e dell’effimero.
Più precisamente la parola ukiyo scaturiva dalla fusione dei vocaboli “yo” e “uky”, rispettivamente significanti mondo e sofferenza. Ribaltati nel loro ordine ed utilizzati nel Seicento per indicare generalmente il concetto di sofferenza, vennero associati ed assorbiti al significato  “fluttuante” ad indicare tutti quei piaceri fuggevoli e quelle effimere passioni mondane dalle quali la saggezza e la moralità buddista da sempre aveva nettamente preso le distanze.        
I soggetti preferiti di questo nuovo linguaggio artistico erano infatti tratti dal mondo delle feste, della moda, dello spettacolo e dell’amore mercenario creando, così, un’immensa galleria di ritratti di attori famosi del teatro Kabuki, noti uomini di corte, donne di particolare bellezza, soggetti erotici e più tardi paesaggi, insomma un repertorio tratto dalla vita quotidiana e soprattutto dalle figure di spicco del momento contingente in una sorta di trionfo della vanità e della caducità dell’esistenza. Il mondo dell’Ukiyo-e è un mondo leggero e veloce, che indugia sui piaceri e gli svaghi della vita, che ama la moda e la sua continua mutevolezza; rappresenta una realtà di vita nuova, un mondo sull’orlo della modernità che esprime lusso, fama e bellezze che si fanno e disfano in un solo attimo.
L’Ukiyo-e è un mondo che fluttua, che vola e si disintegra per quanto è leggero, inconsistente e vano; è un mondo  dove non si ha più tempo per riflettere ed ascoltare, ma solo per vivere tutto, all’istante, subito, lasciandosi andare lungo la corrente di questo grande fiume dell’effimero che trapassa e scompare per rinascere e morire più bello di prima un solo attimo dopo. Questo Mondo fluttuante è il simbolo del Giappone pre-moderno a cavallo tra XVIII e XIX secolo e ancora oggi è possibile ritrovarlo, anche se in modi ancor più esasperati, nella frenetica vita dell’Omotesando di Tokyo, lungo le infinite strade americane o passeggiando tra il continuo umano fluire lungo Corso Como a Milano.
            I raggi del Sol Levante irruppero nel 1867 nei padiglioni dell’Esposizione Universale di Parigi, con l’insolita presentazione di oltre cento stampe dei maggiori maestri nipponici tra i quali spiccavano i nomi di Utamaro, Kuniyoshi, Harunobu, Hiroshige e Hokusai. Presto un continuo afflusso di artisti decretò la grande fortuna delle stampe giapponesi nella Francia che si apprestava allo sconvolgimento che avrebbe compiuto, sette anni più tardi, la prima mostra di pittura impressionista. 
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Minacciosi samurai, volti dipinti di attori, raffinate silhouette di geishe ed animali, aprirono enormi brecce nei cuori di molti artisti europei. McNeill Whistler, Edgar Degas, Toulouse Lautrec, Gauguin e Vincent Van Gogh furono tra gli artisti che subirono maggiormente l’influenza dell’arte dell’estremo oriente e in virtù del prezzo ragionevole al quale venivano vendute le stampe ne acquistarono molte al punto che Vincent Van Gogh ne possedeva un numero tale da costituire una vasta collezione personale addirittura esposta in seguito, per sua volontà, in un caffè-ristorante.
Colpì questi artisti soprattutto l’eccezionale capacità dei pittori giapponesi di creare, costruire immagini attraverso il solo rapporto tra masse di colore mediante campiture piatte e bidimensionali accostate l’una al fianco dell’altra. Queste opere d’arte nipponiche non erano dei veri quadri, ovvero delle pitture dirette su tavola o su tela; si trattava in realtà di stampe, ovvero di opere grafiche prodotte attraverso un procedimento tecnico di stampa di una matrice su un foglio di carta. Tutte le immagini dell’Ukiyo-e sono tratte da stampe xilografiche, ovvero delle impressioni tratte da disegni intagliati in tavolette di legno di filo, in modo tale che le figure risultino non incise in profondità nella tavola, ma come liberate da essa, in positivo, intagliate lungo i contorni. Una volta terminato il lungo e faticoso lavoro d’intaglio, la matrice è pronta a ricevere l’inchiostro. L’eccezionale qualità delle xilografie giapponesi è data dalla precisione dell’incisione, dall’uso magistrale degli inchiostri policromi in cui la china è diluita con acqua e pigmento colorato, nella morbida inchiostratura operata col pennello assieme a qualche goccia di colla d’amido di riso. E’ un grande lavoro di antica sapienza artigianale che tocca il suo apice nella pressione manuale dei fogli sulla matrice, senza l’ausilio di torchi, e nelle vibranti sfumature e incorporee acquerellature date agli altissimi cieli tesi sulla scintillante Edo e alle tenere peonie. Le matrici delle stampe nipponiche sono tante quanti i colori da stampare e il risultato finale è il frutto di un lungo e vario procedimento di impressione manuale che prolunga di molto i tempi di esecuzione, ma giunge a livelli di perfezione mai raggiunti in altra parte del mondo.
            Stampe che avevano la funzione di veri e propri manifesti pubblicitari con i ritratti degli attori più famosi del teatro kabuki, veicolo primario della cultura dell’Ukiyo-e. Volti volitivi perfettamente truccati e scene tradizionali della letteratura e della religione sono reinterpretati secondo la moda ridondante ed effimera del mondo fluttuante.
                Animali e grasse peonie, cascate, rocce e fiumi, raccontano l’intima natura divina data dalla religione nazionale a tutte le manifestazioni della naturale. Questo connotato sovrumano conferiva grande dignità ai soggetti animali e vegetali che vennero, dunque, largamente utilizzati come soggetti principali di opere d’arte e non per scopi puramente decorativi. Un grande amore per la natura ha sempre caratterizzato la cultura giapponese che tratta alberi ed uccelli come emanazione del divino concretizzatasi in elegantissime forme.          
           Le magnifiche vedute dell’antica capitale, Edo, l’attuale Tokyo, che Hokusai seppe così ben illustrare in una raccolta dedicata proprio a tutti i luoghi più frequentati, ai monumenti maggiori e alle opportunità di svago che la ricca Edo offriva senza soluzione di continuità ad ogni suo cittadino e visitatore. Lungo le affollate strade della capitale, tra il dedalo dei vicoli attorno ad ogni porto, la bellezza femminile era di facile incontro e sempre perfettamente potenziata e sublimata da costosi trucchi e sontuose acconciature. Cortigiane, attraenti e raffinatissime, ispiravano i pittori fino a condurli a scegliere un genere apertamente erotico, dove l’apparato decorativo di ogni geisha si tramutava in indispensabile strumento di un elegante rituale amoroso.
            L’Ukiyo-e rappresenta ancora oggi una delle prime forme di arte di massa, grazie soprattutto all’uso della stampa che, annullando l’unicità dell’opera d’arte, ha permesso una produzione artistica di vasta divulgazione e molto acquistata, di medio costo e di facilmente fruibile contenuto, ma sempre impeccabile nella forma e geniale nelle nuove e diverse trovate compositive.
                                                                                                             Mario Sordi



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