Archive for the 'surrealismo' Category

04
Set
07

“GIOCHI DI PENSIERO”

Golconde, 1953

“GIOCHI DI PENSIERO”

Magritte e le “surreali” combinazioni

Cielo piatto e tetti di Bruxelles. Oggi piovono uomini come gocce in trench e bombetta. E’ un’invasione, forse un’ascensione oppure una corale caduta. Tutto è muto, probabilmente le bombette sono immobili a mezz’aria…Forse quei borghesi uguali ruotano, oppure ascoltano i pensieri o si allontanano per sempre nel mattino grigio del 1953.

Creando nei corridoi del pensiero questa composizione assurda, il belga René Magritte annulla completamente il rapporto di tradizionale fiducia tra l’osservatore e la realtà della cose. In “Golconde”, infatti, ogni ricerca di realistico equilibrio è vana; eppure gli uomini sono riprodotti esattamente e le case sullo sfondo sono precisamente attinenti alla realtà, nessuna forma si allontana dal quotidiano e dal convenzionalmente riconoscibile e l’opera sembra di facile comprensione. Tuttavia al cospetto di quest’immagine scatta in noi un allarme, un’improvvisa confusione, una profonda insicurezza di giudizio e di significato.

Tutto è pedantemente reale e quotidiano, ma quegli uomini volano? Si, dovrebbero volare! Oppure scendono dall’alto o chissà perché sono in aria! Ecco scattare la trappola di Magritte, ecco tendersi l’illogica rete in cui l’artista cattura i suoi spettatori con un doppio inganno.           

              A colpo d’occhio quella di Magritte è una pittura facile, netta, addirittura scolastica, dove tutto è concreto e perfettamente combaciante con il reale. In essa  nulla ci turba, poiché ogni cosa è perfettamente riconoscibile in una sorta di pedante iper-realtà. L’illusione di Magritte è compiuta, armato di solo pennello è riuscito ad anestetizzare il nostro istinto, a far prevalere sulla visione il banale buon senso. Eppure gli uomini dipinti da Magritte non sono veri uomini e neanche gli stabili sullo sfondo sono realmente abitabili. E’ lo stesso artista che risveglia le nostre profonde intuizioni scrivendoci in faccia “ceci n’est pas une pipe” sotto l’immagine di una pipa da lui dipinta. Nonostante ogni sforzo con quella pipa non sarà mai possibile fumare, essa non potrà mai allietarci in una molle serata domestica, eppure ogni spettatore rimane sbalordito da tale assurdo annuncio; il pensiero ha usurpato il trono alla pittura. Il fatto è che Magritte gioca con le cose e le parole per liberarle dalle relazioni tradizionali che ne vincolano e mortificano il potenziale espressivo.

                               magritte02.jpg

L’oggetto reale non ha nulla a che fare con la sua rappresentazione, lo spazio pittorico non va confuso con la parete di casa e le parole non sono gli oggetti, poiché essi vivono senza le parole, sono autonomi e concreti solo dietro le loro convenzionali, rigide denominazioni. La pipa, gli omini in bombetta, le case, le cose, possono prendere allora vita propria in una realtà puramente superiore, mentale, a volte onirica in cui il giocare è l’unica seria attività. Una dimensione, nata sulla scia di De Chirico, in cui tutto appare tranquillo, ma in realtà ogni cosa è sconvolta. Nel gioco di Magritte tutto è possibile; uomini e rocce sono da sempre abituati a fluttuare nel cielo, donne-pesce e mele mascherate popolano la terra e statue sanguinanti sono il banale quotidiano.          

  Dopo lo sconcertante gesto di Marcel Duchamp, che sull’onda nichilista del “Dada” pose sui piedistalli orinatoi, scolabottiglie e ruote di biciclette come opere d’arte con tanto di firma, Magritte completa questa parabola chiudendo con soluzioni del tutto opposte. Se Duchamp rende opere d’arte oggetti veri, già fatti, strappandoli dal loro contesto quotidiano, Magritte ancora una volta supera l’ostacolo con un inganno, l’ennesima illusione. Nelle sue opere gli oggetti sono tratti dalla realtà, ma non sono la realtà, bensì sono un puro pensiero, l’essenza di uno stato mentale.  Il vero Magritte è un pensatore assoluto, un sognatore, un diabolico creatore di enigmistica travestito da pittore. La grande passione per il gioco degli scacchi, la nausea per la banalità quotidiana e i Salons, la prematura morte della madre, l’abilità nei giochi di parole, l’indole introversa, convogliano tutte nell’opera di Magritte e creano una vastissima galleria di immagini aperte come finestre direttamente sul pensiero, una mostra di puri concetti, come una sorta di occidentale e disilluso terzo occhio; è l’addio al banale, l’ultima boccaccia contro la società, la prima pietra di una nuova e libera creatività di spirito, l’ultima provocazione.  Nascono così opere dall’umore nero, inquietanti e irrisolvibili come “Scacco Matto”, del 1937, dove lo scontro tra pedine da origine ad un vero e sanguinoso delitto; “Gli amanti”, del 1928, dove i volti velati rimandano, molto probabilmente, al trauma subito dall’artista quattordicenne in seguito alla visione della madre suicida annegata nel fiume Sambre e rinvenuta con la camicia da notte avvolta attorno al capo.    Magritte, uno dei più geniali esponenti dell’avanguardia surrealista, alla quale aderì nel 1925 dopo un periodo iniziale di accostamento al cubismo e al futurismo, dedicò tutta la sua vita alla ricerca di enigmi figurativi, al serio gioco degli scambi, alla creazione di veri rebus trasformati in opere d’arte dove la chiave della corretta decifrazione è stata gettata in un mare sorvolato da meteoriti o forse non è stata mai forgiata dalla fucina della ragione.                                                                                                                      Mario Sordi




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