Archive for the 'autoritratto' Category

06
Set
07

“FUEGO DE MI VIDA”

“FUEGO DE MI VIDA”

Colore e dolore nell’arte di Frida Kalho

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Senza la testarda volontà di Salma Hayek, bella e appassionante attrice messicana, non sarebbe stata possibile la realizzazione di una delle pellicole cinematografiche du genere biografico più affascinanti almeno degli ultimi dieci anni. Una fotografia caratterizzata da colori intensi, scene cariche di passione e sguardi vibranti, sono elevati dalla straordinaria poesia delle opere autentiche della Kalho al suono gitano di Chavela Vargas, leggendaria voce del Messico, che nonostante i suoi quasi novant’anni, soffre in scena interpretando dal vivo la passione de La Llorona. Tutto questo ha saputo amalgamare nel film la regista Juylie Taymor, caratterizzando la pellicola anche con eccezionali passaggi degni del più puro surrealismo che esaltano i soggetti, già roventi, delle opere della Kalho animandoli nuovamente nel cuore dell’artista e nel nostro in un eterno, ardente paradiso doloroso.
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Frida, così il titolo del film,  si afferma dunque sul panorama cinematografico internazionale come proposta di ricostruzione storica e surreale, esotica e dolorosa, poetica e totalmente contemporanea e come il sogno di Salma Hayek, concretizzato dopo circa quindici anni di idee e tentativi.
In un giorno dei suoi felici diciotto anni, Frida salì su uno dei tanti tram che tagliavano le affollate strade di Città del Messico; la vettura sbandò, i freni andarono fuori uso, il tram si schiantò in retromarcia, un corrimano penetrò il giovane corpo di Frida dalla schiena al pube straziandolo in modo irreparabile. Dolori intensi, interventi chirurgici, lunghe degenze, aborti e amputazioni seguiranno l’incidente senza mai abbandonare la vita di Frida e riflettendosi in modo ossessivo nelle tele dell’artista.

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Un dolore, forse più profondo di quello provocatole dalla sua precaria condizione fisica, fu quello inferto al cuore di Frida dalla burrascosa relazione col pittore Diego Rivera, suo “scopritore” che la esortò a proseguire la carriera artistica, la introdusse negli ambienti socialisti e “rossi” dell’epoca e la tradì innumerevoli volte con modelle e addirittura con la sorella di lei, Cristina.
L’ennesimo tradimento, il peggiore, quello col suo stesso sangue, scoperto da Frida stessa all’interno della casa-atelier, portò la focosa pittrice ad interrompere la relazione, ottenendo il divorzio nel 1939, dopo ben dieci anni di matrimonio. Appena un anno dopo, nel 1940, un amore ardente e in realtà mai esauritosi portò Frida, ancora una volta,  tra le braccia del suo adorato “panzòn”.
Nuovamente sposata, come donna messicana, inserita in una società ancora di tipo tradizionale, Frida fu un soggetto anomalo e ribelle. Un’indole libera e passionale condusse la pittrice a furibonde ribellioni che sfoceranno in scelte non convenzionali quali il divorzio, l’adesione al socialismo più estremo, i diversi rapporti extraconiugali ed omosessuali con i quali ripagò le profonde ferite inferte da Diego al suo potente amore.
Non bella, sposata e con un corpo martoriato da ben trentacinque interventi chirurgici, Frida riuscì comunque ad essere una delle più ardenti amanti del secolo. Tra le sue braccia si alternarono indistintamente uomini e donne, di fronte al suo irresistibile fascino caddero artisti e intellettuali, ballerine e politici come la celebre fotografa Tina Modotti, la cantante Chavela Vargas e l’esule Trotzkj che, fuggito dall’Unione Sovietica nel 1939 a causa delle persecuzioni staliniste, trovò rifugio in Messico dove fu accolto e nascosto con l’aiuto in prima persona di Diego e Frida.
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Tradizionale e indomabile, femmina e androgina, vitale e sofferente, Frida dipinse se stessa innumerevoli volte, creando così una vastissima galleria costituita quasi interamente da autoritratti.
Grazie al soggiorno negli U.S.A., nel quale la pittrice seguì suo marito invitato ad esporre a New York, Frida si accostò per la prima volta ad un mondo lontano ed opposto a quella realtà messicana fatta di cieli azzurri, rapporti genuini e profondi, spazi deserti, musica ed agavi dalla lance aguzze in magiche notti accese da mille fuochi celesti. New York rappresenterà per lei la vetrina sulla modernità e sul mondo esterno e moderno, indicherà all’artista quel modello di donna ormai emancipata che la affascina come spirito anticonformista e pittrice ribelle, ma che allo stesso tempo la respinge con lo stesso impulso forte e contrario, come donna messicana legata al ritmo ancora antico della sua terra.
A divorzio compiuto, nel 1939, Frida approda da sola nella “Ville Lumiere”. I grandi musei, la fervida vita notturna, i locali lussuosi, le bellissime cocottes e cabarettiste parigine esercitarono su di lei un’attrazione ancora più forte di quella provocata dal mondo statunitense accentuando nella pittrice l’emancipazione, il desiderio di libertà e la consapevolezza di donna e artista del XX secolo.
Il suo cuore fu sempre a ametà, lacerato dalla carica vitale incatenata ad un corpo straziato, ardente di passione per Diego e gonfio di dolore come donna tradita e madre negata, sincero e dolce, ma libero e indomabile.
In Le due Frida, dipinto tra il 1939 e il 1940, l’artista lascia forse l’opera più autentica, il vero specchio della sua doppia e inconciliabile natura. In accese tinte la Kalho siede a destra in abito tradizionale messicano, il suo cuore, rosso infuocato, palpita nel centro del suo petto. E’ vivo, alimentato da vene cariche di sangue caldo nascenti dal medaglione recante l’immagine dell’amato Diego. A sinistra, invece, la donna compare abbigliata all’europea, è una donna occidentale, che osserva l’interno del suo cuore, ora aperto, tagliato  a metà, mentre con la mano occlude la vena con una pinza emostatica.     
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Firda per metà messicana e per metà europea, per metà legata all’uomo al quale dedicò la sua vita da un amore totalizzante che le fece sopportare tradimenti e mortificazioni in modo irrazionale e tradizionale. Da un’altra ottica Frida appare invece come una donna logica e moderna, sofferente, ma determinata. Il suo cuore, ora aperto, è compreso ed esplorato dalla ragione che subentra all’esaurimento della cieca passione. Esasperata e consapevole, la pittrice blocca il flusso venoso tentando di sottrarsi a quell’amore che altrimenti la condurrebbe al competo dissanguamento;  interrompe il sentimento, sbarra la strada a quel sangue ardente che nella poetica di Kalho è un’unica amalgama di corpo e anima e che, gocciolando, le macchia il candido vestito. Donandoci una tale potente visione l’artista rappresenta così il suo eterno conflitto, alludendo al divorzio con Diego, indicando la sua insanabile solitudine.
Costretta a mesi d’immobilità da lunghissime degenze e all’amputazione di una gamba, Frida dipingerà sempre se stessa affermando nel suo diario: “…dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio”. Gli autoritratti di Kalho , oggi esposti nei più importanti musei del mondo, furono oggetto di interesse e di erronee letture da parte del padre teorico dell’avanguardia surrealista; Andrè Breton, convinto del potenziale surreale ed onirico delle tele che ammirò in casa della pittrice in Messico, riuscì a presentarle a Parigi, ma senza ottenere quel gradimento, vasto ed unanime, che aveva previsto. In realtà i dipinti di Frida sono tutt’altro che visioni di sogni, bensì la rappresentazione della realtà personale ed intima dell’artista chiusa nella sua stanza e nella sua sofferenza; sono immagini nate da una profonda ricerca introspettiva, psicologica, attuata attraverso la puntuale narrazione autobiografica ed il libero  accostamento di oggetti dell’affetto e della vita.
Da una realtà dipinta ed essenziale, quasi stilizzata, emerge un universo affettivo occulto che, ignorando i principi prospettici e l’attinenza alla visione reale, libera le immagini come visioni del cuore, tutt’altro che oniriche, ma specchio dell’anima e della vita.
Una suprema lezione d’amore e di sopportazione del dolore si eleva, nell’arte di Kalho, dalla sfera personale a quella globale raccontando il dramma esistenziale di ogni individuo. Forse mai, in tutta la storia dell’arte, il connubio tra pittura e vita fu così forte e universale.
                                                                                                              Mario Sordi



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